Google libero subito


E’ di questi giorni la notizia della condanna subita da Google in merito alla pubblicazione avvenuta nel 2006 di un video che ritraeva un gruppo di studenti-bestie di un istituto tecnico di Torino nell’atto di malmenare e maltrattare un ragazzo down.

Il filmato era stato molto cliccato, ma anche molto criticato dagli spettatori, al punto che, su  spinta anche di un associazione con obiettivi di tutela dei disabili, era partita la denuncia tanto verso gli autori dell’ignobile gesto, quanto – cosa più grave – verso Google stesso.
Tralasciando il processo subito presso il Tribunale dei minori dai vigliacchi deficienti protagonisti dell’eroica impresa – ai quali mi auguro che qualcuno abbia provveduto (magari seppur tardivamente i genitori) a infliggere anche una seria pena corporale – resta il nodo dell’incriminazione subita da Google che, qualche illuminato giudice italiano ha deciso di ritenere altrettanto responsabile.
In italia siamo indietro, siamo alla preistoria, in quanto a mentalità e a capacità di gestire la rete: le istituzioni la vedono come un pericoloso strumento di libertà e da tempo cercano di limitare il più possibile la sua capacità di far circolare le idee, soprattutto quelle invise al sistema politico (vedi recente Decreto Romani). Molti giovani la vedono invece come occasione unica per fare, dire, pubblicare, diffondere emerite stronzate.
I giudici del caso in questione avrebbero dovuto tutelare tanto il ragazzo vittima degli abusi, quanto la cultura stessa della rete sparando giuridicamente lo strumento dal suo utilizzatore.
Se sparo a una persona vengo arrestato e condannato, a tutela della mia vittima, ma non viene certo perseguito il fabbricante dell’arma che nulla può fare per impedirmi di usare la stessa in modo criminoso.
Il giusto e logico risultato di tutta la vicenda sarebbe dovuto essere la punizione esemplare degli animali che si sono resi protagonisti del filmato e non anche della struttura che mette a disposizione la possibilità di diffondere liberamente  i propri video e di conseguenza le proprie idee.
Google è stato perseguito per una (opinabile) violazione della privacy e per diffamazione. Assolto da quest’ultimo reato e condannato alla fine solo per il primo. Per fortuna l’accusa non è riuscita a far passare l’idea della necessità di una “censura preventiva”, che avrebbe fatto la gioia di certa classe politica, e la condanna si è limitata a una punizione del caso in questione.
Google ha certamente delle grosse responsabilità, ma per altre cose, in altre questioni legate al suo predominio sulla rete; in questa occasione sarebbe stato meglio ringraziarlo, utilizzarlo come prova dell’utilità della sua piattaforma video. Nessuno ha pensato che se non ci fosse stata la possibilità di pubblicare il filmato, i veri colpevoli forse non sarebbero mai stati puniti ?
Speriamo che il ricorso in appello abbia migliore fortuna.
Casi come questi possono essere facilmente strumentalizzati da chi teme la rete come strumento implacabile di libertà di pensiero e di parola

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